10 maggio 2020
Per alcuni romani di ceto elevato o semplicemente dotati di grandi ricchezze, la cena non era solamente un pasto relativamente frugale al pari della colazione e del pranzo, ma una vera e propria occasione di sfarzo e solennità. Il convivium aveva luogo in un’apposita stanza della domus , il triclinium , arredato con i caratteristici letti a tre posti, disposti a ferro di cavallo intorno a un tavolo, sui quali i convitati si sdraiavano stando su un fianco e tenendo la mano destra libera per prendere il cibo (uso di importazione greca caratteristico delle classi sociali elevate, mentre il popolo era solito mangiare seduto). Tutto nel convivium corrispondeva a un codice noto e condiviso: dall’ordine gerarchico di disposizione dei convitati nei triclini al numero e alla successione delle portate e delle libagioni di vino e così via. Una gerarchia che vigeva inoltre per i servitori dal nomenclator , colui che annunciava gli invitati, ai ministratores , “camerieri da sala” più giovani e belli, accuratamente pettinati e con abiti eleganti dai colori vistosi. Ultimi per importanza erano coloro che si occupavano di servizi più umili e spiacevoli, i quali si presentavano rasati e con tuniche grezze. Le portate corrispondevano a tre fasi canoniche di svolgimento del banchetto: ab ovo usque ad mala , ovvero, diremmo noi, “dall’antipasto alla frutta”. Esse erano: La gustatio , un antipasto di varie pietanze leggere e stuzzicanti: verdure, insalate, funghi e tartufi, ostriche, frutti di mare, formaggi alle erbe, olive, salsicce, torte salate, oltre alle immancabili uova, accompagnati dal mulsum (vino con miele); La cena propriamente detta, che si componeva di varie portate ( ferculae , anche sette o più), i piatti forti della serata a base di carne, pesce e verdure, spesso molto elaborati e scenografici, innaffiati dal vino; La secunda mensa , infine, cioè il dessert, con dolci, frutta fresca e secca, e anche con piatti salati e piccanti (focaccette, formaggi, salsicce, ecc.) tali da eccitare la sete per la commissario, la “gozzoviglia” a base di grandi bevute di vino al termine della cena, durante la quale venivano portate in tavola le statuette dei Lari familiari per un brindisi d’augurio. Durante tutta la cena rimanevano sulla tavola, a disposizione dei commensali, la saliera ( salinum ) e l’ampolla dell’aceto ( acetabulum ). Il momento del convivio non era solamente dedicato al piacere della gola ma era una celebrazione anche di tutta un’altra serie di piaceri che andavano dalla poesia, alla musica e al divertimento. Nulla avveniva senza che gli invitati potessero godere di otri di vino bianco e soprattutto rosso. Tra i vini più noti si ricordano dalla Campania il Marsico e il Falerno, e dal Lazio l’Albano, il Cecubo e il Sabino. I vini di grande pregio venivano anche fatti invecchiare per poi essere offerti con grande orgoglio agli ospiti.